Credo che il modo in cui si affrontano le ultime pagine di un libro sia un indizio utile a capire cosa quel libro ci ha dato mentre lo leggevamo.

A me è accaduto di saltare intere pagine perché quel finale arrivasse veloce, di centellinare, di contare le pagine all’ultima perché questa non mi cogliesse impreparata al distacco. E poi ci sono stati i finali vissuti come necessari, quelli affrontati con lo spirito dell’ultimo giorno di vacanza. Vorresti che non ci fosse, ma lo sai che è inevitabile. Ti mancherà tutto, pensi: ci tornerò il prima possibile (non è detto che poi questo accada davvero). Tocchi le pagine per imprimere di più il ricordo di quello che vedi, di quello che leggi. Io faccio così quando d’estate lascio la mia isola. Scorro con gli occhi il suo profilo, seguo la linea del molo e del faro. Forse a modo mio la accarezzo.

Ho attraversato così le ultime pagine in “L’ultima estate in città”. Di Calligarich avevo già letto “Posta prioritaria” e lo avevo apprezzato. Le sue parole hanno un bel suono e sembrano arrivare a voce, lo stile è originale e mai di maniera. La storia è la storia di un amore sfasato, impossibile e nevrotico, eppure bellissimo. Personalmente ho facilmente dimenticato la trama mentre leggevo. Lo scontro, l’incontro e l’allontanamento; questi movimenti si sono presi la mia attenzione e hanno scatenato la mia nostalgia.

In questo momento, che da poco ho lasciato le ultime righe, mi rendo conto che questo libro non potrò rileggerlo, ma limitarmi a consigliarlo e, nel farlo, a raccomandare al lettore lentezza, cura e silenzio.

Buona lettura!