Il professore di italiano sta spiegando un canto della Divina Commedia con il suo accento da toscano di Maremma. Potrei essere in prima liceo e quindi potrebbe essere l’Inferno.
Il banco traballa sotto i gomiti, il prof si alza senza dire una parola ed esce dall’aula (per non tornare). Uno dei miei compagni sentenzia: “E’ il terremoto”. Dopo un po’ di attesa in corridoio - rievocando la famosa morte del topo (siamo al terzo piano senza scale esterne, direi che siamo una classe di gente realista), tutti fuori e tutti a casa. Alla TV confermano l’intuizione del sismologo improvvisato, dicono che l’Umbria è stata fortemente colpita, nominano una serie di paesi che non conosco, tra cui Colfiorito. In un posto così potrebbero non esserci case ma solo serre, forse almeno lì è andata bene. Poi arrivano le immagini e no, non è andata bene. Da allora, a parte qualche servizio alla TV con la signora che con un forte accento umbro dice: “Io da qui non voglio andare via” affacciata al balcone in PVC di una casa container in cui vive da 10 anni, quelle zone sono rimaste nella mia testa più come un fatto di cronaca che luoghi reali. Poi è arrivato l’anno del COVID, giugno, e sono andata 5 giorni a Colfiorito.

Colfiorito
Tanto per cominciare le case ci sono, non molte ma ci sono e sono affastellate primariamente su due strade: una principale, di passaggio e traffico, e l’altra nascosta, sopra la principale, stretta e un po’ all’ombra. Il nucleo abitativo, per urbanistica e architettura, mi fa pensare al presepe che facevamo a casa quando ero piccola. Per fortuna mancano sia il fiume in carta stagnola che i giganti pastori disseminati ovunque da mia sorella.
All’ingresso di Colfiorito, dopo aver lasciato la superstrada, si è accolti da quello che è stato ribattezzato il Far West. Il toponimo non è mio, ma penso che chi lo ha coniato abbia voluto cogliere la natura un po’ finta e un po’ provvisoria di questa area commerciale allestita in tempi di emergenza e che in effetti ricorda il set di un film western.

Il Far West ospita un bar, un ristorantino (che raccomando per la qualità del cibo), un negozio di tipicità e un supermarket (anche questo raccomandato per la qualità del cibo, ma stavolta con una menzione speciale al ciauscolo e alla roveja secca). All’uscita del paese, raggiungibile a piedi stando un po’ attenti nell’attraversamento in piena rotonda, si apre la palude. Anche qui il nome l’ho ereditato, perché io una palude non l’avevo mai vista e non sono sicura che avrei usato questo nome per definire un posto in provincia di Perugia. Io ero convinta che le paludi fossero piene di mangrovie e si trovassero sicuramente in Asia e forse anche in Veneto, ma mi sbagliavo. Alle 19, quando arriviamo, c’è un’atmosfera surreale.

La luce è quasi bianca e piena di pulviscolo. Sebbene ci siano alcune persone e la strada carrabile sia vicina, il paesaggio è calmo e prevale il silenzio. In fondo al sentiero che costeggia la palude si apre uno specchio di acqua ferma su cui si affaccia un piccolo ponte. Manca un giorno, forse due, e il tappeto di ninfee che si srotola sotto il ponte fiorirà.
Colfiorito non ha serre, ma un giardino spontaneo sì. Sulla collina dietro le case, si individua facilmente un cammino tra i campi. E’ evidente che questo cammino non esisterebbe se non fosse per le persone che si sono avventurate tra gli appezzamenti di terra e che, a furia di passarci, hanno strappato alla natura un sentiero. Sebbene sia caldo, la pineta – almeno all’andata – regala un po’ di frescura con il suo corridoio di ombra che getta sui campi aperti. Camminiamo tra i fiordalisi, i papaveri e le orchidee selvatiche. Ad un certo punto incontriamo una distesa di piccoli fiori giallo sole. Non se ne vede la fine. Hanno la corolla fatta di tante piccole sfere, lo stelo lungo e così sottile che lo spostamento d’aria generato dal nostro passaggio è sufficiente a farle flettere in un delicato inchino vitale.

Intorno a Colfiorito
La piana di Castelluccio con lo spettacolo della fioritura (per me meno spontanea di quella di Colfiorito, ma in ogni caso suggestiva). Sopra la piana, rivolti al Monte Vettore, si affacciano una serie di ristorantini (anche loro al momento in simil container dopo il terremoto che ha colpito Castelluccio). Dalle terrazze di questi ristoranti la vista è suggestiva, soprattutto se il sole usa le nuvole per giocare alle ombre cinesi con il monte Vettore. Non vicinissimo ma comunque a tiro, il lago di Fiastra con un carinissimo chiosco e un sacco di lettini e punti relax che, se non ci fosse una pandemia mondiale, sarebbero perfetti per un aperitivo a base di ciauscolo e formaggio della zona o per un po’ di tempo da dedicare a leggere o a non fare assolutamente nulla a parte non fare assolutamente nulla.
